La parte iniziale del concerto è riservata ad un trittico sinfonico-corale (Dar Gasang bon dar Earde-Il Canto della Terra), che, per le forze in esso impiegate (solisti, cori, orchestra), potrebbe essere definito come una sorta di sinfonia/concerto.
I tre brani che la formano sono un omaggio ad una cultura e ad una lingua (quelle cimbre) più che millenarie, che storicamente accomunano un po’ tutto l’Alto Vicentino.
Si inizia con “In armakhot un vriise” (In povertà e gelo) – per viola solista, coro ed orchestra – che parla della povertà e del freddo nella stalla di Betlemme, ma anche della povertà e delle immense sofferenze patite in passato da tante generazioni sull’Altipiano dei Sette Comuni.
Il secondo quadro, si rifà ad un particolarissimo testo poetico sulla Pentecoste (“Übar in Finkestak”) il cui titolo – “Dar Gaist ist heüte kemmet” (“Lo Spirito è oggi venuto”) – riporta uno dei due soli versi dell’intero testo originale con esplicito riferimento al divino (!). Un quadro pieno di primavera in cui viene esaltato il miracolo della natura. Nel terzo brano “Slegar” (“Asiaghesi”), mi sono concentrato principalmente sul canto pasquale “Maria de bil tzarte”, (“Maria infinitamente dolce”).
Si conclude con “O lilium convallium” e “Non nobis, Domine”. Il primo dei due è stato eseguito in contesti di grande rilievo in Europa, America ed Asia. Accanto alle figure centrali e dialoganti dei due violoncelli, l’ensemble maschile si dipana su trame che alternano e combinano tra loro un testo dell’antica liturgia aquileiana (“O lilium convallium”, appunto) e uno tratto da quella greco-ortodossa (“Axiòn estìn”). “Non nobis, Domine”, lo ritengo un brano “d’occasione”, scritto per evidenziare la forza di un testo incisivo e notissimo, come quello del motto dei Templari.